Onorevoli Colleghi! - Il decreto legislativo n. 165 del 2001, recante le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, era stato concepito come un «testo unico» di chiusura e sistemazione definitiva del processo di riforma della disciplina legislativa in materia di pubblico impiego sviluppatosi lungo tutto l'arco dello scorso decennio: in realtà, invece, negli anni successivi alla sua emanazione ha subìto numerose e ripetute modificazioni ed integrazioni. Queste, in qualche caso, hanno assunto una certa ampiezza e consistenza (come è avvenuto con la legge n. 145 del 2002, in tema di dirigenza), ma più spesso si sono caratterizzate come aggiustamenti di portata limitata, di carattere occasionale e, a volte, legati ad esigenze contingenti e strumentali: il riferimento è, soprattutto, a una serie di disposizioni rinvenibili in atti normativi approvati nella precedente legislatura; ma anche nei primi mesi della legislatura in corso si registra l'introduzione di modifiche al testo del decreto legislativo n. 165 del 2001 - si pensi all'articolo 2, comma 159, del decreto-legge n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 286 del 2006, che estende a tutti dirigenti dei Ministeri nominati ai sensi dei commi 5-bis e 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (quelli scelti all'esterno dei ruoli dirigenziali delle amministrazioni interessate) il meccanismo di spoils system già previsto dal comma 8 dello stesso articolo 19 per i dirigenti chiamati a ricoprire gli uffici dirigenziali di cui al precedente comma 3 (cioè, le funzioni «apicali», come quelle di

 

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segretario generale o di capo dipartimento), o all'articolo 1, comma 548, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), dove si apporta una significativa correzione al testo dell'articolo 47, comma 7, sempre del decreto legislativo n. 165 del 2001, in ordine ai meccanismi procedurali della contrattazione collettiva nazionale per i pubblici dipendenti, che tende ad accelerarne e a renderne certi i tempi di conclusione - le quali, al di là del giudizio sul merito dei loro contenuti, si limitano esse pure ad incidere solo su aspetti specifici del quadro regolativo del lavoro pubblico, e risultano, pertanto, slegate da una riconsiderazione del suo assetto d'insieme.
      Questa sequenza di interventi sull'atto legislativo destinato a disciplinare in via generale i rapporti delle amministrazioni pubbliche con i loro dipendenti ha finito - pur nella varietà dei contenuti e delle ispirazioni dei singoli provvedimenti - per influire negativamente sulla organicità e sulla coerenza del testo: a volte si sono apportati miglioramenti rispetto alla precedente formulazione di alcune disposizioni, ma nell'insieme tendono a prevalere elementi di contraddizione, di indebolimento e di confusione rispetto alla versione originaria.
      Di qui l'esigenza di far luogo ad una revisione complessiva del decreto legislativo n. 165 del 2001: un'esigenza che, del resto, trova riscontro anche in una diffusa richiesta di aggiornamento e di adeguamento di quelle parti dell'articolato normativo che hanno sollevato notevoli problemi di ordine interpretativo e hanno fatto emergere consistenti difficoltà ed incertezze attuative. La decisione di procedere ad una ricognizione dei profili critici e, conseguentemente, alla riscrittura di numerose disposizioni del decreto legislativo in questione, oltretutto, si impone ora anche come risposta ad una serie di importanti decisioni della Corte costituzionale, che ne hanno messo in discussione alcuni aspetti di non secondario rilievo. Né può essere trascurato il fatto che alla necessità di provvedere a «modifiche legislative», da ultimo, fa esplicito riferimento l'intesa sul lavoro pubblico e sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche stipulata in data 6 aprile 2007 dal Governo e dai rappresentanti delle autonomie regionali locali con le principali organizzazioni sindacali.
      Non si tratta, beninteso, di porre in essere una nuova, generale riforma del pubblico impiego, che metta in discussione i fondamenti di quella realizzata negli anni novanta del secolo scorso: vanno, in particolare, respinte le ipotesi, più volte riemerse nel dibattito politico e culturale, volte al ripristino del preesistente regime pubblicistico (nella realtà, caratterizzato da una gestione paternalistico-autoritaria che mortificava le professionalità dei dipendenti e inficiava l'efficiente conduzione degli uffici pubblici), e va, anzi, non solo riaffermata, ma dotata di un ulteriore sostegno legislativo - come richiesto anche dalla ricordata intesa del 6 aprile - la scelta in favore di una «piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico», operata a partire dalla legge delega n. 421 del 1992 e dal decreto legislativo n. 29 del 1993. È innegabile, infatti, che in sede di applicazione di tali atti normativi e di quelli che negli anni seguenti hanno provveduto a correggerli e ad integrarli, siano emerse evidenti difficoltà, distorsioni ed alterazioni - imputabili soprattutto ai discutibili atteggiamenti assunti in molte occasioni da alcuni dei principali protagonisti della vicenda (responsabili politici, dirigenti, sindacati) - delle loro finalità ispiratrici, che hanno fortemente messo in discussione il conseguimento degli obiettivi che si intendevano realizzare attraverso la «privatizzazione»; ma sembra altrettanto indiscutibile che tali obiettivi, nella loro complessa articolazione (ricomposizione del mondo del lavoro, razionalizzazione e maggiore trasparenza e verificabilità della spesa pubblica per il personale, innalzamento del livello di funzionalità delle amministrazioni attraverso l'adozione di forme di gestione «aziendale» eccetera) conservino ancora tutto il loro valore e, anzi, risultino ancora più significativi in un momento nel quale il tema della qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche
 

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si pone, per unanime riconoscimento, come una «questione nazionale» di primaria grandezza.
      Occorre, pertanto, rifuggire da tentazioni «palingenetiche» (irrealistiche, prima che inopportune) dell'attuale quadro normativo, quale costituito dal testo in vigore del decreto legislativo n. 165 del 2001, e procedere, invece, alla puntuale individuazione, al suo interno, degli elementi che si presentano, di volta in volta, come oscuri, deboli, lacunosi, contraddittori e che, comunque, appaiono inadeguati o superati rispetto a una razionale ed equilibrata regolazione dei modi di governo delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni: ciò, al fine di porre in essere le conseguenti operazioni di riformulazione, integrazione e coordinamento delle disposizioni normative, che consentano di disporre di un sistema di princìpi legislativi coerente, aggiornato e davvero utile ad un'efficace e proficua gestione del personale pubblico.
      A tali obiettivi si propone di dare risposta questa proposta di legge, che è intesa, appunto, non ad introdurre ulteriori, parziali correzioni al decreto legislativo del 2001, ma a provvedere ad una sua sistematica ed organica revisione e risistemazione, da realizzare - stante la tecnicità e la complessità della materia - attraverso il conferimento di una delega legislativa al Governo: ai fini dell'esercizio di detta delega, nelle diverse lettere che compongono l'articolo 1 si dettano numerosi ed articolati princìpi e criteri direttivi, che toccano tutte le principali questioni oggetto dell'intervento normativo previsto.
      Viene in primo luogo in evidenza il profilo relativo all'assetto delle fonti [lettera a)]: in proposito, da un lato, si tratta di ridefinire l'ambito oggettivo e la sfera soggettiva di applicazione del modello privatistico-contrattuale che connota la normativa generale in materia di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, anche alla luce delle novità di rango costituzionale e legislativo intervenute negli ultimi anni nell'assetto organizzativo e nel quadro funzionale di queste ultime (a partire dal decentramento di poteri derivante dalla riforma costituzionale del 2001 per arrivare ai piani di riorganizzazione previsti dalla legge finanziaria per il 2007, passando per tutta una serie di riforme di settore, aventi evidenti riflessi sul regime del personale); dall'altro, si rende opportuno un definitivo chiarimento in sede legislativa in ordine alla delimitazione degli ambiti di competenza spettanti rispettivamente alle fonti legislative e alle fonti contrattuali, al fine di impedire il ripetersi di deleterie forme di «sconfinamento» reciproco fra i due tipi di atti regolativi.
      Di grande rilievo e delicatezza appaiono le previsioni concernenti la problematica dei rapporti fra politica e amministrazione, con i loro riflessi sulla disciplina della dirigenza pubblica: non a caso, si tratta della parte della normativa oggetto del presente intervento che negli anni ha subìto il maggiore numero di modificazioni e ha suscitato le più animate discussioni e le più aspre controversie, in ambito politico così come in sede giurisprudenziale e dottrinale. La scelta di fondo che è compiuta nella proposta di legge tende a coniugare la piena riaffermazione, dopo le incertezze del recente passato, del modello basato su una visione manageriale (e, quindi, improntata alla flessibilità propria delle relazioni di natura negoziale) della dirigenza con la fissazione di più ampie ed effettive garanzie per gli stessi dirigenti nei confronti degli organi di governo delle amministrazioni, in linea con la recente giurisprudenza costituzionale. In tal senso, in primo luogo [lettera b)] è affermata l'esigenza di consolidare e completare la piena distinzione funzionale fra compiti (e responsabilità) di indirizzo politico-amministrativo e compiti (e responsabilità) di direzione tecnico-operativa delle amministrazioni, rafforzando ed ampliando i poteri di organizzazione e di gestione finanziaria dei dirigenti.
      Sul versante strutturale, si opera una chiara differenziazione fra l'area degli incarichi dirigenziali di natura totalmente o prevalentemente fiduciaria (uffici di diretta collaborazione dell'autorità politica, posizioni di vertice delle amministrazioni e
 

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specifici uffici di missione), affidati a determinazioni unilaterali degli organi politici in ordine all'assegnazione delle funzioni dei dirigenti e alla loro rimozione [lettera c)], e quella concernente gli incarichi di direzione amministrativa o tecnica in senso proprio, rispetto ai quali si pone con forza l'esigenza di rispettare i princìpi di autonomia e di imparzialità: in ordine a tali incarichi, si opta [lettera d)] per l'attribuzione tramite appositi contratti - allo scopo di superare con una soluzione normativa chiara e definitiva una lunga e complicata querelle giuridica sulla natura giuridica degli atti di conferimento, che ha accompagnato e seguito le tormentate vicende legislative degli anni passati (dal decreto legislativo n. 29 del 1993 al decreto legislativo n. 80 del 1998, fino alla legge n. 145 del 2002) - preceduti da effettive forme di negoziazione dei contenuti e degli obiettivi degli incarichi stessi e, prima ancora, da adeguati meccanismi di pubblicità e di selezione per l'individuazione, sulla base di criteri oggettivi e trasparenti, dei soggetti destinatari; si prevede, poi, una limitazione, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, e una più rigorosa disciplina delle ipotesi di affidamento di incarichi di direzione di uffici pubblici a soggetti esterni ai ruoli dei dirigenti amministrativi [lettera e)]. Inoltre, si afferma [lettera f)] la necessità di fissare termini temporali per la durata degli incarichi dirigenziali che siano congrui e coerenti con i caratteri delle funzioni e degli obiettivi assegnati; e, soprattutto, si collegano le conferme, le mancate conferme e le revoche degli incarichi agli esiti delle valutazioni delle performance dei dirigenti, escludendo forme più o meno dichiarate di spoils system (come richiesto dal giudice costituzionale) per tutti gli incarichi non aventi natura fiduciaria.
      Si definiscono, ancora, princìpi relativi alla revisione e alla integrazione della normativa in tema di doveri di comportamento, di responsabilità e di tutela antidiscriminatoria dei dirigenti [lettera g)], così come in materia di disciplina delle incompatibilità [lettera h)]. Si prospetta, di seguito, l'introduzione di elementi di unitarietà nella dirigenza statale, senza riproporre il soppresso «ruolo unico», ma ipotizzando la costituzione di un albo generale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel quale dovrebbero essere iscritti tutti i dirigenti dello Stato, ferma restando l'assegnazione ai ruoli delle singole amministrazioni in dipendenza degli incarichi ricevuti [lettera i)]; la creazione dell'albo è posta in relazione, oltre che alla agevolazione della mobilità dei dirigenti, alla razionalizzazione delle modalità di ingresso nella qualifica, che dovrebbero essere fondate su procedure selettive e su attività formative attribuite alla responsabilità di un unico organismo (da identificare nell'Agenzia nazionale per la formazione, istituita dalla legge finanziaria per il 2007), per quanto attiene sia al sistema ordinario e prevalente di accesso, che dovrebbe essere costituito dai corsi-concorsi aperti agli esterni, sia ai concorsi riservati ai dipendenti pubblici dotati di particolari requisiti [lettera l)]. Infine, si ipotizzano forme flessibili di gestione e valorizzazione professionale del personale che, eventualmente, prenda il posto del discusso istituto della «vicedirigenza» [lettera m)].
      Passando alle questioni riguardanti in generale i dipendenti pubblici, si prefigura la definizione di un sistema di programmazione del fabbisogno del personale nelle amministrazioni pubbliche, collegando l'acquisizione delle risorse umane alla consistenza delle risorse finanziarie disponibili [lettera n)], e il riordino delle modalità di accesso agli impieghi, con l'introduzione di meccanismi atti a «regolarizzare», accelerare e decongestionare le procedure concorsuali [lettera o)].
      Altre innovazioni ipotizzate dalla proposta di legge delega qui presentata attengono alla regolazione della contrattazione collettiva: si è già detto dell'intervento «acceleratorio» dei tempi di conclusione della negoziazione nazionale operato dall'ultima legge finanziaria; ora si pone la questione di un più organico riassetto delle procedure contrattuali, che implica anche la riconsiderazione del ruolo dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale
 

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delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e dei comitati di settore [lettera p)]; altrettanto rilevante è l'aspetto relativo a una più chiara determinazione dei rapporti fra contratti collettivi di area o di comparto e contratti integrativi, che garantisca una continuità logica e contenutistica fra i due momenti, evitando che si riproducano le condizioni che hanno dato luogo ad una frantumazione della contrattazione di secondo livello e alla sua trasformazione - in molti casi - in uno strumento per l'assunzione di scelte eterogenee e incoerenti con l'impianto e gli esiti della contrattazione nazionale [lettera q)].
      La contrattazione collettiva, tra l'altro, dovrebbe ricoprire un ruolo decisivo nella regolazione di vari aspetti del rapporto individuale di lavoro nel settore pubblico: dalla disciplina dei percorsi professionali, con la definizione di procedure selettive trasparenti e imparziali, che premino i risultati conseguiti e si fondino sulle professionalità effettivamente acquisite [lettera r)], a quella delle forme contrattuali flessibili, da circoscrivere nella loro tipologia e da ridurre quanto al loro utilizzo [lettera s)].
      Non meno significativo è il tema della mobilità del personale, che dovrebbe essere favorita ed incentivata, nell'ottica di una più razionale distribuzione ed utilizzazione delle risorse umane: in tal senso, si prevede il coordinamento delle disposizioni sulla mobilità temporanea all'estero dei dipendenti pubblici [lettera t)] e, soprattutto, si dettano criteri intesi ad agevolare, anche attraverso meccanismi di incontro fra domanda e offerta, la mobilità volontaria del personale fra sedi ed amministrazioni diverse, ed a razionalizzare le forme della mobilità connessa a processi di riorganizzazione o al trasferimento di funzioni amministrative [lettera u)].
      È, altresì, richiamata l'attenzione sull'esigenza di definire un regime più rigoroso, e al tempo stesso più agile in termini di adempimenti formali, in ordine alla possibilità di cumulo di impieghi e di incarichi dei dipendenti delle amministrazioni (anche procedendo a semplificazioni procedurali per il sistema delle relative autorizzazioni) e di riordinare le disposizioni in tema di incompatibilità [lettera v)].
      Un ultimo aspetto preso in considerazione è quello delle tutele giudiziali: nel confermare e rafforzare la generale attribuzione all'autorità giudiziaria ordinaria delle controversie relative ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, si prevede, ai fini della riduzione dei tempi del contenzioso e della celere definizione delle questioni, la razionalizzazione (e l'eventuale soppressione) degli interventi dell'ARAN e della Presidenza del Consiglio dei ministri in tali controversie [lettera z)], e la semplificazione delle disposizioni sull'interpretazione autentica dei contratti collettivi e sull'accertamento pregiudiziale della loro efficacia, validità e interpretazione [lettera aa)].
      L'articolo 1 della proposta di legge si chiude con una previsione [lettera bb)] che affida al legislatore delegato il compito di operare gli opportuni adeguamenti formali alle disposizioni che dettano norme generali sul lavoro pubblico - cioè, al testo «revisionato» del decreto legislativo n. 165 del 2001 - per assicurarne il coordinamento sistematico, perseguendo la semplificazione del linguaggio e la chiarezza testuale.
      Il provvedimento è completato dal comma 2 dell'articolo 1, dove si stabilisce che i decreti legislativi attuativi delle indicazioni del comma 1, prima di essere emanati, siano sottoposti al parere della Conferenza Stato-regioni-città e autonomie locali: ciò, al fine di verificare l'ambito e le forme dell'applicazione dei princìpi in essi definiti agli enti dotati di autonomia costituzionalmente riconosciuta (in particolare, in ordine all'organizzazione dei propri uffici amministrativi e all'ordinamento del personale).
 

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